venerdì, Maggio 3, 2024

Immersione totale in una natura severa e inospitale, con una guida d’eccezione, Armando Alonzi, anima del gruppo ciclo-alpinistico BikeSorani CAI MTB, che ci ha condotti all’esplorazione dell’essenza più intima di questi luoghi selvaggi.

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L’occasione è quella giusta, la festa di San Domenico a Cocullo, dove rinnovando tradizioni ancestrali, ogni primo maggio la statua del monaco eremita viene condotta in processione ricoperta da serpenti. E i serpari sono in piazza fin dalla mattina presto, con i serpenti catturati nei boschi della zona, pronti ad incoraggiare chi volesse superare diffidenze e pregiudizi avvicinando quell’animale da tanti temuto e disprezzato.

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La tradizione ha origini pagane, probabile residuo dell’antico culto del Marsi per la dea Angizia, e la familiarità di questi popoli con i serpenti ha lasciato traccia fin negli scritti di Virgilio, che nell’Eneide narra le gesta del giovane Umbrone, condottiero, sacerdote, medico e incantatore di serpenti, inviato dal re dei marsi in appoggio a Turno nella guerra contro i troiani sbarcati nel Lazio, ma che nulla poté contro Enea, perendo nelle sue stesse mani.

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Con astuzia magistrale, il frate benedettino che qui soggiornò per sette anni, diede una nuova connotazione alla tradizione arcaica, dirottando il rito dei serpari verso celebrazioni propiziatorie della salute dei denti, lasciando come reliquia un suo dente, in sostituzione del dente avvelenato del serpente, e un ferro di cavallo della mula.

Da allora la festa inizia in chiesa, al suono della campanella azionata dai fedeli tirando la catenella con i denti. Poi a mezzogiorno la statua del Santo esce dalla chiesa, dove viene ricoperta di serpenti, prima di sfilare in processione nei vicoli, con tanto di banda musicale ed ancelle in costume. Presagio di sventura se tornando davanti al portone della chiesa non vi fosse neanche un serpente avvinghiato, ipotesi assai remota visto che i serpari seguono la processione riposizionando all’occorrenza i fuggitivi.

Ma il programma della giornata, per i tempi strettissimi, non ci consente di partecipare alla cerimonia, e dopo aver familiarizzato con cervoni e biacchi, partiamo all’esplorazione dei luoghi in cui il Santo eremita è visse in simbiosi mistica con i suoi amati serpenti, e dove ancora oggi i serpari  si avventurano per catturare questi magnifici animali al risveglio dal letargo.

L’uscita dal paese dà subito un anticipo della montagna vera, passando sul lato della chiesa, la bella salita asfaltata diviene presto una carrareccia ciottolosa, poi ancora qualche rampa asfaltata, e si giunge al sentiero che sale sul fianco del monte. Dai 900 m di quota di Cocullo fino a 1200 si carbura, poi inizia la montagna vera, con un vento gelido che taglia la faccia. 

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Scaliamo Monte Lingotti (1650 m slm) salendo sulla linea di crinale, con la maestosa Majella innevata che fa capolino all’orizzonte.

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Dura salita sulla carrareccia segnata dall’acqua fino a quota 1565, poi si svalica a Passo Forca d’Oro (1521 m slm), con mandria di cavalli al pascolo brado compresa nel prezzo… 

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Un paio di soste per ritemprar le membra…

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poi si sale ancora, verso il Monte Mezzana, fino a 1730 m di quota, qui la primavera non è ancora arrivata, c’è ancora qualche banco di neve in fusione.

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Spettacolare vista sulla valle, Castrovalva, Anversa degli Abruzzi, Cocullo, come gioiellini incastonati nella magnifica Valle del Sagittario, e la Majella a chiudere la linea d’orizzonte.

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Procediamo in freeride nella valle, 200 metri di discesa su un tappeto d’erba profumata.

Da qui si può dirigere verso il Rifugio Monte Mezzana, per svalicare subito verso le Gole del Sagittario o proseguire in salita per aggirare il monte, passando dal punto panoramico più suggestivo… ovviamente optiamo per la seconda via, affrontando i 100 metri di salita previsti nella variante hard. 

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Terminata l’impegnativa salita su carrareccia, entriamo nel bosco ed iniziamo la discesa su un sentiero naturale in mezzacosta, serpeggiando tra imponenti alberature, con qualche passaggio esposto ed un paio di varchi nella roccia. All’uscita dal bosco siamo a Pizzo Marcello, l’imponente sperone calcareo che sbalza nella valle scavata nei millenni dal fiume Sagittario, oggi ridotto ad un rigagnolo dalla diga a monte.  

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Adesso inizia la discesa tossica… protezioni indosso e talismani attivati, ci tuffiamo nella Valle del Sagittario su una mulattiera sassosa incisa nella roccia brulla. 

Video della discesa

Una serie infinita di tornanti in successione, mille metri di discesa surfando sulla roccia smossa, con gomiti stretti dove il nose-press è quasi impossibile per mancanza d’appoggio anteriore. Passaggi esposti su strapiombi da vertigine, del tipo che se cadi non ti ferma nessuno. Armando apre le danze, il gruppo lo segue, ognuno col proprio passo, ognuno impegnato a sfidare i suoi limiti manovrando in condizioni estreme.

Un giro pazzesco, durissimo, provante e rischioso, un viaggio avvincente in una montagna selvaggia, che finisce davanti ad un boccale di birra fresca, lasciando dentro emozioni che ti porti a casa.

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Un caloroso ringraziamento ad  Armando Alonzi, la nostra magnifica guida, ed ai valorosissimi compagni d’avventura, Gianluca Proscio, Franco Palma, Vittorio Totonelli, Marco Tagliaventi, che hanno affrontato le prove più dure senza mai perdersi d’animo e (quasi) sempre con il sorriso sulle labbra.

La gallery in HD

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