giovedì, Dicembre 12, 2024

Siamo nel cosiddetto Appennino Perduto, una vasta area montana che va dai Monti Sibillini ai Monti della Laga, nei comuni di Roccafluvione e Acquasanta Terme in provincia di Ascoli Piceno. Si tratta di una zona poco popolata, fatta di borghi semi abbandonati e strade dissestate, fuori dalle rotte turistiche ed economiche, lontana dalle vie di transito principali e soggetta ad un progressivo abbandono, un processo iniziato nella metà del 900 ed al quale il terremoto ha dato purtroppo il colpo di grazia. Eppure, si tratta di luoghi ricchi di fascino, tra boschi, grotte e torrenti di straordinaria bellezza, da sempre abitati dall’uomo che tra queste montagne ha trovato riparo e sostentamento grazie alla ricchezza d’acqua e ai boschi rigogliosi che davano legname e castagne.

Il territorio è caratterizzato da ripide pareti e strapiombi su cui si snodano stretti sentieri immersi in un paesaggio roccioso eroso e quasi “ricamato” dagli agenti atmosferici, la cui caratteristica principale è rappresentata da gradoni di roccia fissa, vero paradiso per i bikers amanti di questo tipo di fondo.

La traccia del giro

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Il nostro giro, onde evitare di accumulare troppo dislivello positivo, prevede un piccolo trasferimento e recupero auto dalla frazione di Santa Maria a Capo di Rigo, piccolo paesino arroccato su uno sperone di roccia sopra il fosso di Rigo, ricostruito dopo un gravissimo terremoto, per poi proseguire verso Peracchia, dove finisce praticamente il mondo.

Dimenticate asfalto e luci, per intraprendere un viaggio che comincia già sulla strada. Sì perché la vera bellezza di questi paesi è data dal fatto che è come se non esistessero prima di raggiungerli, ma prendono consistenza via via che ci si avvicina, e cominciano ad apparire prima da lontano e poi, una casa dopo l’altra, si fanno reali, vivi, sospesi nel tempo come sono.

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Giunti all’ingresso del paese, andando in direzione contraria rispetto alle prime abitazioni, percorriamo il sentiero 401 verso il Monte Savucco. Scesi al fosso scopriamo un luogo che mai avremmo immaginato. Un piccolo torrente scorre tra rocce, muschi e terra, lambendo un vecchio mulino ormai abbandonato.

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Ha qui inizio la prima lunga salita di giornata, quasi tutta a spinta, verso il Monte Savucco. Il sentiero è un single track tutto nel bosco, con l’ultima parte molto ripida, i tratti pedalati si contano sulle dita di una mano e neanche con le ebike si riesce a stare molto in sella.

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Giunti a quota 1.168 mt abbandoniamo il sentiero per il Savucco e ci tuffiamo nel Fosso delle Pile, dove ha inizio la prima discesa di giornata, sentiero 501. Purtroppo il sentiero è in stato di totale abbandono e la traccia oramai è sparita del tutto, è solo grazie alle bandierine bianco-rosse del CAI ed a delle fascette di plastica, che si riesce a trovare la giusta strada, peccato davvero ma fino al collegamento col 430 il sentiero non esiste quasi più.

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La discesa termina in prossimità della sterrata che da Poggio Rocchetta va a Tallacano, dove bisogna fare attenzione a prendere la deviazione a sx che scende a tornanti nel Fosso del Petrienno, pena il dover tornare indietro come è capitato a noi. Guadato il fosso si sale a spinta per il sentiero 432 fino ad intercettare su un tornante la bellissima Cascata di Agore, un piccolo balzo che forma alla sua base un limpido specchio d’acqua e che si raggiunge con una piccolissima deviazione che passa per una suggestiva grotta.

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Qualche centinaio di metri più avanti si apre l’imponente Grotta del Petrienno, di dimensioni ragguardevoli, infatti parliamo di circa 60 metri di larghezza e 15 di profondità, ma è integralmente coperta dagli alberi che la nascondono alla vista e incassata in una stretta valle del tutto invisibile a distanza.

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Per entrare nella grotta occorre guadare il fiume e passare sotto la cascata e ciò può diventare un problema nei periodi di piena dello stesso, non è il caso di adesso, anche se siamo in pieno inverno la portata d’acqua è veramente al minimo.

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Durante l’ultima guerra la grotta è stata rifugio di alcuni soldati americani e la testimonianza del loro passaggio è documentata da alcune scritte che gli stessi hanno lasciato sulle pareti. L’ambiente della grotta è caratterizzato da strutture addossate alla roccia, sono i resti tangibili di una popolazione che aveva fatto di questi luoghi la propria casa, mantenendosi con la pastorizia e con la coltivazione, manutenzione e sorveglianza delle aree boschive.
Gli ambienti che avevano realizzato sono unici nel loro genere, fatti con materiali del luogo e addossate alle pareti di arenaria, in simbiosi con l’ambiente circostante. Le strutture sono a due piani con scala esterna in legno, utilizzando il piano terra per il ricovero degli animali, il soppalco superiore, costituito da una struttura portante in travi di legno con ripiano di tavole e piccoli tronchi, serviva per l’essiccazione delle castagne e deposito per il fieno e la “sfoglia” (nel gergo dialettale la sfoglia era costituita dai ramoscelli e dalle foglie più tenere che, raccolti nei mesi estivi, venivano poi conservati ed utilizzati come fieno per i mesi invernali).

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Dopo la visita delle grotte, guadato il Fosso del Petrienno, si riesce a risalire ad Agore finalmente pedalando anche se con tratti molto ripidi. Agore è un paese in cui vive un solo abitante in solitudine ma nonostante lo stato di totale abbandono conserva la bellezza di un tempo: il fontanile, la chiesetta al culmine della via principale circondata da case in pietra, addossate l’una all’altra, seguendo il profilo dell’imponente bastione di arenaria sul quale il paese è stato costruito.

Proprio da qua parte una delle più entusiasmanti discese della zona, ovvero il ripido crinale fino all’abitato di Poggio Rocchetta, la discesa è breve ma un must della zona dato che si svolge tutta su enormi bancate di arenaria da cavalcare con la bike.

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In realtà la discesa non termina a Poggio Rocchetta, poiché dal paese ci tuffiamo nel Fosso del Marchese, per un ulteriore entusiasmante tratto tutto tornanti e gradoni, la ciliegina sulla torta di questa entusiasmante discesa.

Guadato il fosso ci attende una lunga salita, di cui il primo tratto rigorosamente a spinta, fino a Rocchetta, noto anche con l’appellativo di paese verticale, poiché le sue case, ricavate sfruttando le cavità della parete rocciosa, si ergono una sull’altra senza soluzione di continuità. Il borgo, purtroppo oramai disabitato e cadente, mantiene comunque un fascino austero e misterioso ed è per noi tappa obbligata per prendere il bel sentiero panoramico a mezza costa del 501 che conduce a Piandelloro.

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Durante il percorso ci sono anche alcune grotte testimonianza tangibile della presenza umana del passato in luoghi così isolati e inacessibili.

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Il sentiero termina a Piandelloro, dove inizia la discesa top della zona, ovvero la discesa nel fosso omonimo sul sentiero 425. Non ci sono appellativi per descriverla, bisogna solo percorrerla, sapendo creerà dipendenza, perché discese di questo calibro non si trovano facilmente, è una lunghissima cavalcata su una infinità di gradoni, ripidi e passaggi tecnici, c’è davvero l’imbarazzo della scelta ma nessuno ne rimarrà deluso, il must della zona.

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Inebriati dalla discesa, non ci resta che risalire a Cocoscia su asfalto, per concludere il giro con la super classica omonima discesa finale fino a Santa Maria. E’ una discesa stile enduro, con bei passaggi tecnici, soprattutto nella parte iniziale, con gradoni e ripidi, la classica dei classici potremmo definirla, in quanto tutti i giri terminano con questa discesa.

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Godetevi qualche passaggetto tecnico

Album fotografico

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