mercoledì, Maggio 21, 2025

Ci sono giri in bici che ti lasciano senza fiato, e non solo per la fatica. Quello che vi racconto è uno di quei viaggi che ti restano addosso, come la polvere sulle gambe dopo una lunga giornata sui sentieri. Salite toste, di quelle che ti fanno stringere i denti ma che ti godi metro dopo metro, discese che sono un inno alla libertà: tecniche il giusto, veloci quanto basta… e poi la magia della cresta del Cofanello, dove sembra quasi di planare sospesi tra cielo e terra. Intorno, un oceano di montagne: il Gran Sasso innevato a far da cornice, la Maiella che ti chiama da lontano, il gruppo dell’Ocre a vegliare silenzioso. Laggiù, gli altopiani di Santo Stefano di Sessanio ricamati a strisce dai campi di lenticchia.
A chiudere questa avventura, il profilo inconfondibile del castello di Rocca Calascio, che ti accoglie come un guardiano antico.

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ATTENZIONE: Il dislivello effettivo da Garmin è di circa 1.650+ si prega di tenerne conto nella pianificazione del giro

Il viaggio comincia nel silenzio sospeso di Castelvecchio Calvisio, piccolo borgo appenninico incastonato nel cuore del Parco del Gran Sasso. Partiamo dal parcheggio accanto al minuscolo cimitero, un luogo raccolto e discreto, attenzione però, lo spazio è limitato e con più di tre auto si rischia di occupare tutto il piazzale, quindi in caso di gruppi numerosi meglio distribuirsi, lasciando libero l’accesso a chi viene fin qui per onorare i propri cari.

Un breve tratto d’asfalto ci accompagna costeggiando le mura e i tetti antichi di Castelvecchio Calvisio, che appare quasi sospeso nel tempo. Case in pietra chiara, vicoli stretti e l’inconfondibile impianto a forma ellittica lo rendono uno dei borghi più originali d’Abruzzo, un tempo rifugio medievale e oggi perla discreta del turismo slow.

Poco dopo, lasciamo la strada e imbocchiamo una carrareccia che si arrampica sempre più decisa. La salita si fa via via più dura e sassosa, ed entriamo nel fresco abbraccio di una pineta rigogliosa, dove la luce filtra tra i rami come attraverso una vetrata verde.

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All’uscita del bosco, si apre davanti a noi una valle incantata: un vasto prato punteggiato da fiori gialli e luminosi — è l’adonide primaverile, piccolo miracolo della stagione che tinge il paesaggio di luce. Sembrano stelle sbocciate sulla terra.

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Una breve discesa ci porta verso Valle Force, e da lì ritorniamo sull’asfalto della provinciale per Castel del Monte. Qui, lo sguardo viene catturato dalla presenza discreta ma affascinante del Castello di San Colombo, oggi sede di un rinomato Orto Botanico, dove si studiano e si preservano le specie floreali dell’Appennino.

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Poco oltre, al fontanile di Fonte Vedice, inizia la prima vera sfida: il mitico Sentiero Santarelli, un’ascesa impegnativa, 250 metri di dislivello, tecnica e sassosa, disseminata di gradoni di roccia.

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Ma con una buona padronanza di guida, con e-bike si può affrontare quasi tutta in sella, tranne un passaggio finale dove è necessario spingere la bici tra le rocce per conquistare il Passo Sant’Angelo, a quota 1.350 metri.

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Da qui, la fatica si dissolve in meraviglia: entriamo in una valle ampia e luminosa, dove il Gran Sasso innevato si staglia all’orizzonte come un gigante silenzioso. Il sentiero continua tra saliscendi in un ambiente più aperto, punteggiato da radure e finestre naturali tra gli alberi, da cui si godono scorci panoramici mozzafiato.

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Ma la salita non è certo finita: ci attende l’ultima conquista.

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Ancora 250 metri di dislivello per raggiungere la vetta del Monte Cofanello, a 1.557 metri di quota. Una salita decisa, a tratti ripida, ma tutta pedalabile con l’assistenza dell’elettrico.

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Dalla cima del Monte Cofanello, il mondo si apre come un ventaglio. L’aria è frizzante, il cielo limpido, e il paesaggio si distende a perdita d’occhio. È il momento perfetto per una pausa: ci sediamo sull’erba, le bici accanto a noi come cavalli stanchi ma fieri. Si sgranocchia qualcosa, tra risate e silenzi pieni di stupore.

Il Barone, instancabile mattatore, ci regala uno streep improvvisato che strappa qualche battuta — perché anche la fatica, quassù, ha bisogno di leggerezza.

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Intanto Sascha, con lo sguardo puntato all’orizzonte, ripassa con l’aiuto del gruppo le vette del Gran Sasso, partendo da sinistra, si riconosce il profilo appuntito di Pizzo Cefalone, seguito dal crinale ampio del Monte Portella, poi l’imponente Corno Grande, il più alto dell’Appennino, affiancato dal compatto Corno Piccolo; più in là si distendono le forme allungate del Monte Brancastello, le creste frastagliate del Monte Prena e, infine, l’elegante parete verticale del Monte Camicia che si tuffa verso l’altopiano.

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Dalla cima del Monte Cofanello, si apre una vista incantevole sulla valle di Santo Stefano di Sessanio, un angolo di Appennino che sembra uscito da un dipinto rurale. Laggiù, le lunghe e strette fasce coltivate disegnano la terra con geometrie perfette, sono i celebri campi di lenticchia, che ogni primavera si tingono di verde tenero e in estate si trasformano in un mosaico dorato. Qui nasce una delle lenticchie più pregiate d’Italia, piccola, scura, saporitissima e molto apprezzata dai gourmet, tanto da essere protagonista in cucine raffinate e nelle ricette della tradizione abruzzese. È un paesaggio che racconta la pazienza del lavoro agricolo, la bellezza dell’essenziale, e un legame profondo tra natura, gusto e cultura.

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Inizia la discesa, e con essa una delle parti più esaltanti del giro: si cavalca una magnifica cresta sospesa, un nastro di terra che sembra disegnato per far volare le bici tra panorami mozzafiato. I primi metri sono ripidi, il sentiero è un po’ scavato e sassoso, e nei tratti più tecnici conviene lasciarsi andare al freeride, seguendo linee morbide appena fuori dal tracciato, dove il terreno è più gentile.

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Qualche rilancio spezza il ritmo, ma è una discesa vera, continua, dove la gravità è tua alleata. In un paio di punti il sentiero si stringe tra rocce imponenti: restare in sella è una sfida, ma basta qualche passo a piedi per riprendere subito il flow. E proprio quando pensi di aver visto il meglio, la montagna ti sorprende ancora: una nuova sezione, ancora più spettacolare si apre davanti, con curve disegnate dal vento e il borgo di Santo Stefano di Sessanio che compare di fronte, come se stessi per piombarci dentro dall’alto.

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Da Santo Stefano di Sessanio riprendiamo a salire, prima lungo una tranquilla strada secondaria che si snoda tra campi e muretti a secco, poi su uno splendido sentiero panoramico, dove ogni tornante regala scorci sempre nuovi sulle montagne circostanti. La fatica si fa sentire, ma l’ambiente è talmente bello che sembra alleggerire ogni pedalata.

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Raggiungiamo infine il sentiero 200, ed è qui che cambia tutto: iniziano due chilometri di discesa scassata, tecnica e a tratti brutale, un concentrato di adrenalina pura, tra sassi smossi, gradoni naturali e tratti veloci, scivoliamo a valle in un’esplosione di emozioni, per ritrovarci di nuovo a Santo Stefano di Sessanio, ma molto più sorridenti e con l’adrenalina a mille. Da qui riprendiamo nuovamente a salire, puntando verso il Colle delle Croci.

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Una dura salita ci riporta in quota, e voltandoci indietro possiamo ammirare Santo Stefano di Sessanio dominato dalla mole imponente del Monte Cofanello, da cui siamo scesi poco prima.

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Dopo una breve e veloce discesa, il percorso riprende a salire deciso verso il Monte delle Croci, seguendo il sentiero che ci guiderà fino a Rocca Calascio. È una salita tosta, altri 250 metri di dislivello che si fanno sentire tutti, soprattutto nel primo tratto, ripido e sassoso, dove il sentiero si arrampica tra le rocce affioranti. Con una buona e-bike e una discreta tecnica si riesce a pedalare quasi tutto, superando gradoni e strappi senza mettere piede a terra; con una muscolare, invece, l’impresa diventa più eroica: per lunghi tratti — su quasi tutti i tre chilometri della salita — è necessario procedere a spinta, stringendo i denti. Ogni metro guadagnato regala una soddisfazione intensa, fatta di fatica e di emozione pura… e là, davanti a noi, sempre più vicina e luminosa nella luce dell’altipiano, la sagoma di Rocca Calascio comincia a emergere all’orizzonte.

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La fortezza si fa sempre più vicina. Rocca Calascio emerge solitaria all’orizzonte, sospesa tra cielo e terra, come un’antica sentinella a guardia della valle. Le sue mura di pietra chiara, sembrano nate dalla roccia stessa, perfette nella loro ruvida semplicità. Costruita intorno all’anno Mille come avamposto di sorveglianza, Rocca Calascio ha resistito nei secoli al vento, alla guerra e al tempo, e ancora oggi domina silenziosa, custode immutabile di queste montagne d’Abruzzo.

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Ci avviciniamo lentamente, rispettando il silenzio millenario. Una volta arrivati, ci concediamo una breve sosta tra le mura antiche: qualche foto di rito, sorrisi larghi, occhi pieni di luce. Siamo in uno dei luoghi più iconici dell’Appennino, e ce lo godiamo fino all’ultimo istante.

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Poi riprendiamo il cammino tuffandoci in discesa. Attraversiamo il piccolo borgo ai piedi del castello, sfiorando i resti di case e vicoli dimenticati, e proseguiamo oltre, lungo una serie infinita di tagli. Alcuni tratti sono più scassati e tecnici, veri e propri labirinti di pietre da attraversare con decisione; altri invece si fanno più flow, regalando un ritmo veloce e danzante, soprattutto verso la fine, dove le curve morbide e il fondo più liscio ci fanno volare leggeri.

La discesa sembra non finire mai, un flusso continuo di emozioni che ci accompagna fino a Castelvecchio Calvisio, dove chiudiamo l’anello esattamente da dove siamo partiti. Stanchi, impolverati, felici, con la sensazione di aver vissuto un’avventura che resterà incisa nella memoria come una giornata perfetta.

A chiudere questa impresa epica non poteva mancare il giusto tributo alla fatica: una sosta alla mitica trattoria accanto alla Tamoil, punto di riferimento immancabile per chi ama la montagna e il buon cibo. Qui, ad accoglierci con un sorriso autentico c’è Fabio, il proprietario — un incredibile sportivo, profondo conoscitore di queste montagne, che alterna con passione sci, trekking e mountain bike, e con cui è sempre un piacere scambiare racconti di vette, sentieri e avventure.

A qualsiasi ora si arrivi, Fabio non sbaglia mai: una carbonara preparata al momento, cremosa e irresistibile, o i piatti della tradizione abruzzese, saporiti e genuini come pochi. Davanti a un piatto fumante e a un bicchiere di vino o di birra, le gambe si riposano, ma la testa continua a viaggiare tra i panorami e le emozioni di una giornata che, in fondo, non vorremmo finisse mai.

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VIDEO-SINTESI by Enrico

ALBUM FOTOGRAFICO

cofanello

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2 thoughts on “Cofanello Line – Rock, Flow & Top View

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