Un itinerario pensato per le grandi occasioni, una reunion tra vecchi e nuovi amici, 17 biker in totale, arrivati da Ascoli Piceno, Roma, L’Aquila e dalla provincia di Napoli. Tutti accomunati dalla stessa passione: l’all-mountain vero, quello che ti porta a spingere in salita e ti regala adrenalina pura in discesa.
Il giro è bello tosto: 1850 metri di dislivello distribuiti su circa 40 chilometri, ma per chi non se la sente di tirare fino in cima, c’è l’opzione di tagliare gli ultimi 170 metri e iniziare a scendere senza toccare la vetta del Monte Genzana (2.170m slm). La salita si pedala tutta, senza strappi impossibili, in un contesto paesaggistico di incredibile bellezza, ma la vera ricompensa arriva dopo: una lunga discesa technical flow, che – tolto un primo segmento un po’ complicato dalla neve residua – entra di diritto tra quelle da ricordare.
NB: dislivello cumulato effettivo da Garmin 1850 m, tenetene conto nella pianificazione del giro
Partiamo dall’area sportiva di Pettorano sul Gizio, dove un piccolo parcheggio consente di lasciare comodamente le auto. Dopo circa un chilometro di asfalto pianeggiante, imbocchiamo la Napoleonica, una sterrata larga e regolare, ideale per scaldare le gambe. Il nome incuriosisce, e non a caso: questa antica via fu tracciata durante l’epoca napoleonica come collegamento strategico tra Sulmona e la zona dell’Alto Sangro, pensata per facilitare i movimenti militari attraverso l’Appennino. Oggi è una tranquilla carrareccia immersa nel verde, ma un tempo serviva per il passaggio di truppe e convogli.

La salita è dolce e costante, perfetta per entrare nel ritmo del giro. Pedalata dopo pedalata, lasciamo alle spalle i rumori della valle e ci avviciniamo a Rocca Pia, un piccolo borgo incastonato nella montagna, che rappresenta l’ultimo avamposto prima dell’ingresso in un ambiente sempre più selvaggio e incontaminato. Da qui in poi, sarà solo montagna vera: silenzi, boschi, vento e roccia.

Ci muoviamo ancora verso sud, pedalando ai margini dell’Altopiano delle Cinque Miglia, un vasto pianoro di origine carsica che separa la valle del Gizio dall’Alto Sangro. Alla nostra destra si alza la montagna, compatta e coperta da alberature in fase vegetativa, con il verde tenero e luminoso tipico della primavera inoltrata. A sinistra, invece, si stendono campi coltivati, dove l’operosità dell’uomo convive con la quiete dell’altitudine. Il contrasto tra le due anime del paesaggio – agricola da un lato, silvestre dall’altro – rende questo tratto sorprendentemente suggestivo.

Arrivati all’altezza della Madonna del Carmine, una piccola chiesetta rurale che si affaccia sulla piana, lasciamo la via principale e svoltiamo a destra, puntando con decisione verso la montagna. La chiesa, probabilmente risalente al XVII secolo, era un riferimento per pastori e viandanti. La tradizione vuole che nei secoli passati fosse meta di pellegrinaggi locali, specialmente a luglio, in occasione della festività della Madonna del Carmelo. Oggi resta lì, semplice e silenziosa, a segnare idealmente il passaggio tra il territorio abitato e la natura più aspra. Da qui in poi, la strada comincia a salire con più decisione e straordinari panorami iniziano ad aprirsi man mano che guadagniamo quota.

Da qui in poi la strada prende quota con più decisione, e a ogni tornante si aprono panorami sempre più ampi e sorprendenti. Il verde vivido dei maestosi faggi, appena risvegliati dalla stagione fredda, e le chiazze di ginepro che punteggiano la radura accompagnano il passo regolare di chi pedala con il giusto ritmo, senza strafare. Qui non si attacca la salita: la si rispetta. È una fatica che non ti schiaccia, ma ti misura, metro dopo metro.

Man mano che si sale, lo sguardo si apre e l’Altopiano delle Cinque Miglia si svela in tutta la sua imponenza: un grande mare verde incastonato tra le montagne. Un tempo era temuto, soprattutto d’inverno, quando il gelo e i lupi lo rendevano un passaggio per pochi. Oggi, dall’alto, affascina per la sua quieta vastità, sospeso tra storia e natura, silenzioso testimone di secoli di transumanza e viaggi avventurosi.

Ogni curva è un piccolo traguardo, ogni rettilineo successivo una promessa: ancora qualche metro, ancora un po’ più in alto. Il gruppo si sgrana, ognuno trova il proprio spazio, il proprio tempo. C’è chi scambia ancora qualche parola, e chi invece si rifugia nel ritmo del respiro o nel brontolio sordo delle gomme che solcano la ghiaia.

Più in quota ci accoglie un prato d’altura in piena fioritura: viola di montagna, botton d’oro, piccoli fiori bianchi e gialli si alternano in un disegno spontaneo, perfetto nella sua semplicità. Il profumo è leggero, quasi impalpabile, si mescola a una fragranza più intensa di erbe aromatiche riscaldate dal sole.
Alzando lo sguardo, la vista si apre verso nord sulla catena della Maiella, severa e grandiosa, con le cime ancora coperte di neve. Il Monte Amaro, il più alto della dorsale, si staglia con decisione contro il cielo limpido, decorato dalle sue inconfondibili striature bianche, che resistono tenaci sotto il sole di primavera.

Una sosta per compattare il gruppo, scambiare due parole, reintegrare con qualche snack e riempire i polmoni d’aria buona. Poi si riparte, inizialmente con un tratto più dolce, fatto di sali e scendi che tagliano a mezza costa i pendii erbosi. Ma è solo un’illusione temporanea: presto la salita si fa più severa.
Il fondo cambia radicalmente, l’erba lascia spazio alla pietra. Lunghi tratti di roccia fissa si alternano a sezioni di sfasciumi smossi, dove ogni colpo di pedale va calibrato e la linea va letta con attenzione. Si entra nella parte più tecnica e faticosa dell’ascesa, quella che chiede concentrazione, gamba e testa. È qui che il giro cambia ritmo e sapore: la fatica diventa protagonista, ma anche la montagna si mostra nella sua forma più autentica.

Giunti a quota 2000 l’orizzonte si apre in un paesaggio sospeso tra le ultime tracce d’inverno e il preludio dell’estate. Lingue di neve resistono tenaci sulle pendici, incastonate come ricordi tra le rocce nude e il terreno che lentamente si risveglia. Davanti a noi, la vetta del Monte Genzana si staglia netta contro un cielo terso.

Il gruppo si prende una pausa: alcuni decidono di fermarsi qui, appagati dalla vista e dalla fatica. Altri, spinti dalla voglia di completare l’ascesa, proseguono sul sentiero che si allunga come un filo verso il punto più alto. Il silenzio è rotto solo dal rumore delle ruote spostano i sassi e dal vento che accarezza la cresta. La cima ci chiama, e noi rispondiamo all’appello.

Una breve sosta in vetta in compagnia di un gruppetto di trekkisti per godere della magnifica vista sulla conca aquilana e sulla maestosa catena del Gran Sasso innevata, poi indossiamo le protezioni, stringiamo i caschi e ci lanciamo in discesa sul fianco della montagna.
Rientriamo per un buon tratto fino a Serra Leardi, dove, seguendo un sentiero in mezzacosta sul versante nord dello sperone roccioso, commettiamo un errore di valutazione. Col senno di poi, sarebbe stato preferibile salire in cresta, anche spingendo la bici per un tratto, per poi seguire la linea di cresta fino all’altopiano opposto. La traccia pubblicata è stata modificata per condirvi sulla via migliore, perché il sentiero in mezzacosta da noi percorso si è rivelato scomodo e peraltro ci ha condotti su un banco di neve costringendoci ad una poco piacevole “bike-sciata”.

Con un po’ di “mangia e bevi”, come si dice in gergo, raggiungiamo il Rifugio La Fascia. Poco distante, una fonte ci permette di rifornirci d’acqua fresca, rigenerando corpo e spirito.

Dal rifugio, entriamo nel bosco e inizia il tratto più bello del percorso. Un lunghissimo sentiero serpeggia tra imponenti alberature, con tratti in forte pendenza, passaggi tra rocce e punti panoramici di straordinaria bellezza. Procediamo spediti: il single track de “La Fascia” è compatto e scorrevole, ma non mancano tratti con fondo di roccia sciolta che mettono alla prova la tecnica di guida.
Atterrati su uno sperone di roccia, inizia il famigerato “Orto Botanico trail” un nome che potrebbe derivare dalla straordinaria varietà di flora presente lungo il percorso, che ricorda un vero e proprio giardino botanico naturale, ma di sicuro l’interminabile discesa flow è una danza esaltante, un susseguirsi di curve, salti e passaggi tecnici che ci riporta al punto di partenza con l’adrenalina a mille.
Un’esperienza indimenticabile, che rimarrà impressa nei nostri ricordi come una delle più belle avventure in mountain bike. Ma non è stata solo la bellezza del percorso a rendere speciale questa giornata: è stato anche un vero piacere conoscere nuovi amici bikers, con cui abbiamo condiviso fatica, risate e la magia della montagna. Insieme abbiamo vissuto un’avventura intensa, fatta di paesaggi mozzafiato, tratti tecnici e tanta passione per la bici. Momenti come questi fanno capire quanto sia speciale pedalare in compagnia, in luoghi così autentici e selvaggi.
VIDEO-SINTESI by Enrico
ALBUM FOTOGRAFICO
